La retorica è l’arte del parlare arte del parlare e dello scrivere in modo persuasivo, efficace ed esteticamente pregevole.

Retorica e Public Speaking cioè l’essere disinvolti, rilassati, in grado di argomentare e confrontarsi con gli altri, sia sul piano personale che professionale, stanno diventando skills e competenze sempre più importanti.

Ne parliamo oggi, in prospettiva CAMPUS FUTURO, con Giovanni Ponchio, vice-presidente della Palestra di Botta e Risposta.

Il linguaggio e la retorica hanno sempre avuto un ruolo importante nella formazione della classe dirigente ed economica. Negli ultimi anni però sembra che l’arte della parola si sia impoverita. Come pensi che il linguaggio possa definirsi importante nella formulazione ed espressione della propria opinione e del proprio pensiero?

Noi siamo il nostro linguaggio. La retorica è l’arte del linguaggio che individua il destinatario del linguaggio, cosa devo dire, quale effetto posso ottenere? Spesso, nel linguaggio comune, abbiamo un’idea negativa della retorica, identificata come espressione senza contenuto. Ma dentro la retorica seria c’è la logica, la capacità di argomentare, la confutazione delle contraddizioni dell’interlocutore. In ambito pubblico probabilmente il linguaggio si è impoverito. In ambito privato la retorica aiuta a condurre una trattativa, per stabilire un accordo, per mediare una posizione, Non a caso la scuola anglosassone ha sempre privilegiato l’arte retorica, il dibattito come elementi principali nella formazione della classe dirigente. Il Corona virus ha fatto emergere che è necessario avere delle competenze, e il competente è colui che sa parlare.

È noto che una delle ragioni dell’impoverimento dell’espressione sia l’uso della comunicazione nel mondo digitale. È possibile pensare a una formazione nell’ambito di una “retorica digitale”?

Non bisogna confondere la brevità del linguaggio digitale con la povertà del linguaggio digitale. I 200 caratteri di Twitter contengono due quartine di endecasillabe. Quante cose si possono dire con questo? Si è pensato che la brevità del linguaggio digitale voglia dire scrivere in maniera banale, complicata. Occorre perciò pensare all’efficacia del linguaggio, non alla lunghezza.

Il Campus porta sicuramente impatti benefici sia in termini di conoscenza che di contaminazione tra scuola e lavoro. Nell’ambito della sua materia quanto pensa sia urgente il suo avvio?

Il campus è un progetto straordinario, profetico. Bisogna far vivere insieme giochi linguistici differenti (lavoro e scuola) con una sorta di linguaggio dei linguaggi: un metalinguaggio. E’ una sfida estremamente affascinante per il futuro.

In CAMPUS FUTURO sarà centrale anche il ruolo della Biblioteca Andrea Mantegna di Piazzola, che verrà perfettamente integrata tra gli spazi e strutture, creando una vera e propria area di aggregazione socio culturale. Lei è anche Presidente del Consorzio Biblioteche Padovane, come valuta questa idea di contaminazione pensata tra il Campus e la Biblioteca?

L’idea che le biblioteche di pubblica lettura stanno sviluppando è di costituire un Hub dei saperi specialisti, come a New York. Il campus è un Hub dei saperi specialistici interconnessi tra di loro. Vuol dire mettere insieme la memoria collettiva locale (non a caso la biblioteca è dedicata al Mantegna) con l’idea del globale. Riusciamo a mettere insieme i 4 grandi temi: memoria, scoperta, locale e globale? La biblioteca dovrebbe essere come la chiesa all’interno del Monastero medioevale: il punto centrale del sistema dei saperi. La biblioteca di Piazzola dovrebbe diventare un prototipo per le altre biblioteche.